E’ probabile che il nome tacchino derivi dal suono onomatopeico del suo verso che richiama un tach, tach, resta il fatto che si tratta di un grosso uccello “da cortile” commestibile. Esso viene cotto e messo in tavola per il tradizionale Giorno del Ringraziamento negli USA, appuntamento autunnale verso la fine di novembre. Si deve ai Padri Pellegrini, arrivati dall’Inghilterra nel lontano 1621 i quali insegnarono loro a cacciare e coltivare; furono di grande aiuto sia ai coloni arrivati che ai nativi, cacciando e cucinando anche i tacchini selvatici.
Nel Thanksgiving Day o Turkey Day non può quindi mancare il piatto nazionale del tacchino arrosto ripieno con contorno di purea di patate con salsa, patate dolci, salsa di mirtillo, granoturco, etc. etc.
Quando ero piccola ricordo di aver visto solo una volta un tacchino intero, forse una tacchinella, era stata regalata per Natale ad una vicina di casa, la chiamava (dindio in dialetto friulano) e lei, dopo averlo sistemato con sale, rosmarino e lo strutto, lo aveva portato dal panettiere il quale era disponibile a cuocerlo nel suo forno (erano i tempi di dopoguerra) ce lo fece vedere, una volta cotto, tutta orgogliosa del suo risultato finale.
Ora ci siamo abituati a consumare carne di tacchino utile anche per preparare un buon bollito misto all’italiana: io utilizzo l’ala oppure la coscia, sono di costo inferiore alla fesa=petto di tacchino, ma vanno benissimo per il brodo.
Un’altra ricetta molto appetitosa è quella degli ossibuchi di tacchino, facendo attenzione però a passare il sugo finale attraverso un colino per eliminare eventuali ossicini poco visibili sul fondo.
Anche con la parte di sovra coscia, quasi sempre di buon peso oltre il kg, disossata con un po’ di pazienza e tagliata a pezzetti, si può fare un ottimo spezzatino al rosmarino e vino bianco. Ho trascurato di indicare le fettine di fesa impanate e fritte, ma lo faccio subito, le metto come finale della conversazione!